La festa delle lische

Durante la quarantena in Italia è stato finanziato un concorso di scrittura di stand up comedy. Una cosa favolosa che neanche in Inghilterra esiste. In UK ci sono i concorsi di stand up comedy dove bisogna inviare cinque minuti di video per la prima fase di selezione, ma mai è stato finanziato da teatri importanti un concorso di questo tipo. E il motivo è molto semplice: la stand up comedy richiede una performance sul palco con un personaggio ben preciso prima di tutto. Da questo punto di partenza poi inizia la scrittura di stand up comedy su quel personaggio. Per poter saper leggere un pezzo di stand up comedy e giudicarlo adeguato o meno, bisogna un po’ conoscere la persona che salirà sul palco, che cadenza avrà, il suo ritmo e fisicità. La scrittura di stand up comedy deve essere fedele al personaggio che salira’ sul palco ed e’ per questo che di solito chi fa stand up comedy scrive su se stesso e solo su ste stesso. Piu’ si fa stand up sul palco e piu’ si riesce a scrivere lontano da esso su il proprio personaggio che si porta in scena. E’ un processo molto lungo che i comici conoscono molto bene. Un testo di stand up comedy poi deve avere sempre una caratteristica: se non ci sono battute e se non fa ridere, non e’ stand up comedy. Un monologo di stand up comedy deve fare ridere prima di tutto, la risata deve scandire tutta l’esecuzione. Un attore, invece, ha un processo interpretativo molto diverso. Il testo esiste gia’ e sta all’attore interpretarlo, partendo da se stesso, facendolo proprio.

Ma come spesso succede in Italia, ottime idee vengono poi gestite male. La giuria non era composta da comici o scrittori di comicità o umorismo, ma da attori che sfortunatamente di stand up comedy sanno davvero poco o nulla, vista la loro definizione di stand up comedy e la serietà con cui parlavano di drammaturgia e monologhi esistenziali. Nessuno della giuria ha mai fatto una serata di stand up comedy ad un open mic per principianti. Nessuno di loro ha mai scritto un pezzo di stand up comedy per il loro personaggio comico. Insomma un concorso di danza aveva come giurati dei cuochi e io così ho deciso di cucinare. Ho deciso di partecipare rispettando le loro regole di cucina. E cosi ho scritto un pezzo che non ha nulla a che fare con la stand up comedy. Altro non potevo fare. E’ un monologo scritto da un uomo, da un contadino del nord, solo, un po’ ubriaco. Un testo che non potrebbe mai combaciare con il mio personaggio sul palco.Sulla scheda di iscrizione ufficiale ho fatto partecipare mio padre. E ho vinto il terzo premio. O meglio, mio padre, Lucio Pol, contadino di 63 anni ha vinto un concorso di non-stand up comedy. Un non io, sa come si fanno le non cose.

LA FESTA DELLE LISCHE:

Altro che quarantena e state a casa. L’ultima volta che mi son sentito solo è stato nel 2013. Era estate, pieno pomeriggio e anche se dall’aspetto sembro un tipo tosto, ho anche io le mie zone, come si dice, soffici. Dopo 25 anni, senza tanti avvisi, è morto il pesce rosso. Era di mio padre all’inizio, prima che anche lui, si insomma ci siamo capiti. Io lo volevo tenere vivo questo pesce come simbolo, avevo certi ricordi, capite? Anche perché a chi lo davo sennò sto pesce? Dovevo tenermelo. Dove vai in giro con la bozza a vendere queste cose, non c’è business, capite? E son passati 25 anni. Mi hanno detto che di solito questi pesci qua non vivono così tanto, e io questo l’avevo capito che era un segnale di mio padre che voleva dirmi qualcosa. Oh, 25 anni son un mutuo, un matrimonio, son tanti. In una boccia a girare e girare…Mio padre lo aveva comprato fresco al mercato, dopo una trattativa, così mi aveva detto. La signora bionda, che vendeva gli animali all’angolo della piazza, gli aveva detto “Cinque euro di puro amore” e lui aveva provato a chiederle lo sconto, ma poi si era fatto incastrare non si sa come, e così è stato. E dopo qualche settimana anche mio papà se ne è andato e, barabin baraban, mi son trovato con questo impegno in piu’. Sì, perché io non ho mai avuto una bestia in casa, quindi ho dovuto imparare a far tutto. All’inizio mi scordavo pure di averlo, eh quante volte! E l’acqua va cambiata sennò non lo vedi piu’ perché si inscurisce tutta la bozza. Sono carini, per carità poi, però c’è un impegno dietro. Mangiano le loro cose e io mi son informato su tutto.

Quando ho capito che era morto, l’ho tolto dalla bozza e sono andato giù al bar. Oh, un uomo come me della mia età, che si fa prendere da queste cose. Eh, sì ve lo dico: ci son rimasto male. Mi è piombata una certa amarezza. Forse perché non l’ho visto invecchiare. In tutti questi anni il pesce non l’ho mai visto diverso, imbruttirsi o perdere pelle. Sapevo che sarebbe schiattato ovvio. Ma non è la stessa cosa. Da quando l’ho portato a casa è stato sempre uguale. Ma uno del bar che non conoscevo mi ha detto che si vede dalle lische che stanno cambiando. Piu’ ce ne hanno e piu’ sono vecchi. Io con lui ci ho litigato perché la cosa non ha senso. Gli ho detto chiaramente che quello non è il pesce, ma gli alberi e che si è confuso. Sono gli alberi che contando gli anelli che hanno nella corteccia, capisci quanto son vecchi. È una cosa che si sa, tra gente come noi. Ma lui mi ha detto che non si è confuso e così io non ci ho piu’ visto. Allora io gli ho chiesto di spiegarmi meglio. E lui mi ha detto che da giovani i pesci rossi hanno tante lische, ma molto piccole e crescendo diventano piu’ grandi e son di meno e che se le conti ti fai un’idea. Un’idea?” gli ho detto. “Me la sta menando!” mi son detto. “Ma che significa farsi una idea? Come fai a contargliele mentre lui si muove!” E lui mi ha detto che ci era riuscito con il suo e che si era stufato con me, a spiegarmi queste cose. E ha alzato la voce e l’oste si è avvicinato per capire. Io gli ho detto subito che non stava succedendo niente e che si parlava di pesci, ma lui chissà cosa si credeva. Sempre in malafede questi oste quando son tanto giovani. E allora io mi son alzato in piedi e lui quasi si è spaventato, ma non è successo niente. Mica potevamo metterci a far rissa su un pesce, morto, alla mia età. No, no, in questo abbiamo avuto tutti e due il controllo per farla finire là. E l’oste ha continuato a pulire i bicchieri senza guardarci, io ho fatto il signore e me ne sono andato. Ma io non volevo andare a casa, ma non potevo stare al bar dopo sta cosa del pesce, capite? In paese devi pensarci alle figure che fai con la gente e allora mi son convinto che andava bene così. E allora quando son tornato a casa ho provato, non so perché. Forse la solitudine o la sorpresa, non so. L’ avevo tirato fuori dall’acqua e messo sdraiato su un tovagliolo ad asciugare. E allora mi son avvicinato e gli ho contato tutte le lische. Io vi dico, non sono vegano, vegitano e cose così, io mangio carne e pesce, ok? Però ero là con la forchetta a contargli le lische e a girarlo su è giù e mi son detto “Mi fa impressione!”. E continuavo a contare “27, 28, 30 lische” E mi son perso! Non è stato facile, ci ho messo tre volte a contargliele tutte senza sbagliarmi. Era impossibile che quel tipo lo avesse fatto con il suo pesce vivo. Racconta balle. Alla fine, il pesce aveva 69 lische e come numero mi ha fatto pensare. Mi son sentito un poco uno stupido, ma ci ho pensato. Mio papà è morto a 69 anni proprio come il pesce che mi aveva lasciato. Non poteva essere vero e allora ho riprovato di nuovo e 69 veniva fuori. Mi son seduto. 69. Ma dai, ma son scemo. Che numero e quanti ricordi tutto ad un tratto! 69. Quanto era passato dalla mia ultima notte di fuoco con Antonietta, 69 che numero! Ah, che bei tempi quelli di sesso e spensieratezza. 69! 69 il numero del diavolo e gli anni di mio papa’ e delle lische. Come era cambiata la mia vita. Dal sesso alle lische. Solitudine.

Neanche un nome aveva quel pesce. Un fottuto pesce rosso con le sue 69 lische, non era mio padre, era solo di mio padre. Era solo un simbolo, un sentirsi ancora con lui, che ora mi diceva di camminare con le mie sole gambe. E così ho fatto e sono ritornato al bar. E mi sono riseduto. Non c’è posto migliore del bar per chi non vuole stare in compagnia con sé stesso o con un morto in casa. Vai al bar per incontrare altra gente, ma anche no. Vai al bar e paghi quella birra per non avere a che fare con i tuoi casini. Sono quattro euro per chiedere alla tua ombra di andare a farsi un giro da qualche altra parte. Otto euro per chiederle se può andare a far pisciare il tuo cane per il vicinato, e a 20 euro le stai letteralmente chiedendo di non tornare a dormire a casa quella sera, ma ti scusi per non averla avvisata prima. Io quella sera ero troppo ubriaco che non sono neanche riuscito a dirle nulla, lei ha capito e non ci siam detti niente per giorni. Ma so che alcuni di voi non capiscono e so anche chi siete: siete quelli che non vanno al bar e che la solitudine invece la cercano, perché “vi permette di trovare la pace con voi stessi”. Si, voi, lo so che mi state giudicando. Siete gli stessi che non riescono a cagare se c’è qualcuno nei paraggi. Vi serve il silenzio. Volete il silenzio di tomba quando la merda vi esce dal vostro culo, autentico e autocosciente. Solo al pensiero di sapere che c’è qualcuno che potrebbe sentirvi, vi blocca tutto il ciclo biologico della merda. Lo so che voi vi sentite superiori, diversi da me, perché voi parlate, dialogate con voi stessi. E io invece me ne fotto e vado al bar e per giorni non son riuscito ad avvicinarmi al pesce, che ora cominciava a puzzare. Non volevo buttarlo, ma non sapevo cosa farci. E allora l’ho messo in un vasetto, come se fosse un carciofino sott’olio e ho preso tempo. Ho preso tempo per pensare, mi direte voi? No. Sono stato al bar a parlare di cazzate con gli altri e non ci ho pensato. Siete ossessionati voi con questo pensare, dialogare, un fottuto silenzio lo sapete reggere? Ignorare voci che ti urlano in faccia tutto il giorno, io questo lo so fare. E anche cagare lo so fare, anche se ho un cane che mi fissa negli occhi e il padrone pure. Non mi faccio problemi io, perché io so cagare. Lo faccio in modo libero e sereno. Io sono come cago. Non come voi, amanti dello yoga e dello star bene che riescono a cagare solo se il rotolo della carta igienica è in perfetta armonia con il vostro buco del culo.

Alla fine, dopo tre giorni che facevo colazione fissando il vasetto ho deciso che dovevo fare qualcosa e allora l’ho portato al bar con me. Quando son entrato l’ho appoggiato subito al bancone e tutti mi hanno guardato. “Cazzo hai portato?” mi fa Gigi. E cosi gli ho spiegato tutta la storia e delle 69 lische. Ma ancora non capiva. “Perché hai portato il pesce qua?” Gli ho detto che non sapevo cosa farci. Non volevo buttarlo nella spazzatura. E senza accorgermene il mio pesce aveva attirato l’attenzione e tutti mi guardavano e proponevano cose. E si beveva e mi son divertito a sentir le loro cazzate. Un tipo, che vedo sempre alla sera e che beve sempre vicino all’uscita, mi ha detto che poteva sotterrarlo vicino alla sua stalla se volevo. Aveva già sotterrato due pulcini per i suoi nipoti. “Cosa ti sei fatto fuori casa? Un cimitero self-service?” Gli ho detto. La sua, era un’ottima idea e ci siamo presentati. Ivano, uno della famiglia Brosa, si chiamava e faceva l’allevatore di conigli. Mi ha spiegato dove viveva e così la mattina dopo prima di pranzo potevo andare da lui. Problema risolto. E tutto il bar ha fatto un giro di rosso, per festeggiare la decisione. E adesso ogni 12 luglio il bar Aldamidas festeggia la festa delle lische e io quella di mio padre. E tanta gente nuova entra e beve, senza sapere la storia e quelli sono i migliori. Tutti soli in compagnia.

L’importante è il contenuto!

Questa epidemia sta portando con sé tanti racconti e storie personali e la mia è una delle tante, tra le poche. Tra le poche, perché io faccio un lavoro quasi sconosciuto, poco pubblicizzato e perseguito. E la colpa è anche un po’ nostra perché siamo dei lavoratori che amiamo il riserbo e ci diamo da fare solo dietro le luci e i riflettori.

Agli influencer, ai calciatori e politici io mi presento: sono Silvano, faccio bare da morto. Costruisco a mano cofani funebri e bare. Ho cominciato come falegname artigiano da molto giovane. Ero bravo a far mobili e così ho avanzato la mia carriera: sono passato dalle credenze alle casse da morto. Altro che puntare in alto, altro che scontrarsi con il cosiddetto “soffitto di cristallo”, io sono andato dall’alto degli infissi, giù, in basso verso il profondo, per investire tutto sull’orizzontale. Ho dato le spalle al vetro e al cristallo per modellare il legno di rovere, di castagno, ciliegio a seconda delle possibilità. Mentre voi negli uffici fate a gara a chi prenderà il posto del vostro capo, io aspetto che quel posto sia vuoto. Non sono cinico io, faccio solo il mio lavoro, dignitoso e serio. E in questi mesi di pandemia ho cercato di accomodare qualsiasi richiesta. È un servizio importante e voglio sempre offrirlo al meglio. A volte mia moglie non capisce. Mi dice che impiego troppo tempo in minimi dettagli. Mi dice sempre “ricordati che non devono esibirla, ma nasconderla sottoterra, vieni a casa che è tardi!”. Una volta mi ha scritto “Basta, finisci oggi con questo cofano, tanto quello che conta è il contenuto!”. Non capisce come io abbia una grande passione per il legno e anche se quello che faccio non viene esposto in un piedistallo, ma nascosto sottoterra ha un valore unico per me, e forse per i vermi sottoterra. Arriverà quel giorno in cui si farà strada la professione, non del critico d’arte, ma del critico delle bare. Altro che Festival di Cannes e oscar! Ci sarà un critico che va in giro nei piu’ grandi cimiteri d’ Italia e che si occuperà di analizzare minuziosamente e con obiettività le nostre lavorazioni. E io sarò là con il mio catalogo!

Ve lo dico perché c’ è una cosa del mio lavoro che non viene detta, per non mostrarsi insensibili. Sono i feedback dei nostri clienti. Mi diverte quando penso alle recensioni di Tripadvisor che ti permette di mettere le stelle per l’apprezzamento dei ristoranti in cui hai mangiato. Magari potessi io ricevere cinque stelle! Cosa darei per leggere “Mi sono trovato benissimo, la bara sembra confortevole ed elegante, ci ritornerò di sicuro!”. Io ricevo difficilmente un commento. Il cliente viene, vede la bara e piange. Io passo settimane a costruire con le mie mani, usando tutta la mia competenza e tecniche di modellazione un prodotto finito. Penso all’estetica, alle rifiniture, è un lavoro certosino il mio, ma poi la gente arriva e che mi dice? Piange. Mi capite? Per loro la bara rappresenta la fine di qualcosa, la fine di una vita, per me la fine di un servizio. Io mi aspetto un “Va tutto bene! Tre stelle” che non arriva mai perché ho davanti a me persone che soffrono. Non vedono nemmeno quello che ho costruito, ma solo il corpo che lì dovrà giacere. E io per consolarli gli dico “Andrà tutto bene” e cerco di rispettare il loro dolore. All’inizio “Come possa aiutarla?” e alla fine “andrà tutto bene”. Sono parole che negli anni ho imparato a capire.

Se nella vita ti è capitato di stare accanto a uno che costruisce bare, e con una bara accanto a lui ti sei sentito dire “Andrà tutto bene”, chiaramente le cose non ti vanno bene. Non è il massimo, lo capisco. Non sono una figura che le persone vorrebbero contattare tutte le settimane. Se stai parlando con me è molto probabile perché ti sia morto qualcuno e magari al pomeriggio avrai pure un appuntamento dal dentista. E io per primo non vado alla ricerca disperata di clienti. Non vado a dare i miei bigliettini da visita nelle discoteche tra un cocktail e l’altro al bancone. Non l’ho mai fatto, ma ho pensato di farlo per ridere…e di chiamare la mia agenzia “Dracula”. Non posso offrire sconti con il Black Friday “bara-mazzo di fiore, prendi due paghi uno.” Ma credetemi, per molti anni, quando i clienti si mettevano a piangere stavo zitto. Stavo zitto con imbarazzo. Cosa potevo fare io, piu’ di aiutarli con una bara? La facevo, gliela mostravo, aspettavo il pianto, mandavo giù la tristezza e mi rimettevo a lavoro. Ma poi ho imparato. Un po’ come i comici professionisti, che quando solo sul palco, a seconda dell’intensità della risata capiscono chi hanno davanti e sanno come procedere, io so leggere i pianti. Ce ne sono di tanti tipi, e mi adeguo a loro con dignità. Ora lo dico forte e chiaro “Andrà tutto bene” e anche se non sono nessuno per loro, e forse neanche la bara volevano perché preferivano un’urna e la cremazione, glielo dico “Andrà tutto bene!”.

Perché ho capito che quella frase ha una miriade di significati e non spetta a me decidere che significato avrà. Io getto il seme e aspetto con curiosità di capire che germoglio verrà fuori, se mai dovesse spuntare! Dico “Andrà tutto bene” e a volte qualcuno mi ringrazia e comincia a raccontarmi del loro lutto e io gli mostro i dettagli della bara per celebrare chi non c’è piu’. Altre volte mi guardano come per dirmi “Vaffanculo! Mio papa’ è morto, fammi lo sconto!”. Come se lo avessi ammazzato io! Mia moglie dice che dovrei rispondere “Sconto solo ai semi-vivi, mi dispiace!”. È un classico in Italia. Lo sappiamo tutti, se sei un comico dovresti lavorare a gratis perché “fai solo ridere la gente” e se fai il mio lavoro dovresti lavorare gratis perché’ “fai solo scomparire la gente” …sottoterra. Come se fossi un mago, anche quello difficilmente pagato tra l’altro.

In questi mesi di quarantena ho lavorato come un forsennato. Tanti clienti che chiamavano l’agenzia funebre per avere bare di tutti i tipi. I vicini mi hanno chiesto persino se potessi creare una scatola per il loro criceto, una bara per Spenser. Ho dovuto fare una bara di 15 cm per un criceto che era cosi grosso che secondo me si era mangiato la ruota. Mai visto una cosa così. Ho pensato che gli avessero venduto una nutria per un criceto e loro non se ne fossero accorti. Comunque, a un certo punto ho dovuto dire di no alla gente, e questo è stato davvero orrendo. Dopo tutto quello che abbiamo sentito per tv e letto sui giornali, l’ultima cosa che volevo fare era dire di no a persone che volevano dare un funerale dignitoso ai loro morti, deceduti soli in ospedale. E allora ho cominciato a fare piu’ ordini del previsto e piu’ bare di quelle che mi erano state richieste, semplici niente di elaborato ovviamente. Solo per prendermi avanti e per evitare il dispiacere di dire no ai clienti. Ho lavorato 12 ore al giorno, ricevevo chiamate, accettavo la richiesta e concludevo con il mio “Andrà tutto bene” alla fine e giù a lavorare. Anche mia moglie aveva approvato l’idea e devo dire che per un mese infatti è stata una salvezza. Potevo spiegare ai clienti che c’era un po’ di attesa, ma almeno fornivo loro quello che so fare davvero, un pezzo di legno ben fatto. Da marzo fino a fine maggio è stato tutto un non stop. Poi le prime parole di sollievo dal governo, dagli ospedali, dai centri che cominciavano a svuotarsi. La gente ha ripreso pian pianino la vita da dove l’avevano interrotta. Io vi confesso che nelle ultime settimane non ho ricevuto nessuna nuova richiesta e ho ancora qualche bara vuota in piu’ che non è ancora stata assegnata. In poche settimane è tutto cambiato di nuovo. Forse è arrivato il momento per me di fermarmi. Un po’ come hanno fatto in tanti, seduti ad aspettare sul balcone di casa, e a consolarsi con pizze e pasta fatta in casa. E aspetterò. Aspetterò un andrà tutto bene. Perché quelli vanno e vengono e bisogna saperli prendere.

Ora vi saluto, e spero di non rivedervi presto. Grazie!

Un capretto al dio delle difese immunitarie

Buonasera a tutti. Grazie tante per essere qui con me questa sera. Sono davvero felice di essere tra voi dopo tanto tempo. Vedo alcune facce note: i fedelissimi che durante la quarantena mi hanno seguito su Zoom. Buonasera! Per chi non mi ha mai visto prima, e per i confusi che non sanno cosa sia Suzum, è un antipasto giapponese. Ho smesso di fare teatro, ora mi dedico alle zuppe giapponesi con alghe tibetane.  

Stare di fronte a voi e vedervi tutti con le mascherine non è facile. Non riesco a leggere le vostre espressioni. Chi è felice mi faccia tre battiti di ciglia per favore, due per chi si sta annoiando. Eccolo là in seconda fila: il complottista che ne sta facendo cinque, mentre manda messaggi alla CIA! Vedo che qualcuno con le rughe degli occhi sta usando il codice morse per dirmi qualcosa che non capisco. Per favore ho bisogno di messaggi chiari, ridete forte e chiaro o niente. Ok? Ah, non applaudite, mai! Che poi la mano destra, per sbaglio, va a toccarvi la vostra mano sinistra, e non sapendo dove le avete messe, va a finire che vi contagiate da soli. E poi ci tocca leggere i titoloni sul giornale “Si contagiano a teatro applaudendo attore giapponese mentre indossava la mascherina delle ciglia”. E poi gli applausi con i guanti di lattice non sono il massimo. Se non troviamo presto un vaccino questo inverno ci toccherà vedere le signore impellicciate in prima fila con i guanti di ermellino, con sopra i guanti monouso di lattice. Che bel casino. Se qualcuno di voi era contro il vaccino, spero adesso di avervi fatto cambiare idea.

Mentre ero in quarantena ho scoperto di adorare i cioccolatini Perugina. E ho scoperto anche perché, grazie a una teoria sulla cioccolata di Lebotivit Urjunzan. Ne avete mai sentito parlare? Non deve aver avuto un’infanzia facile uno con un nome così. E io neanche so quale sia il suo nome, Lebotivit o Urjunzan? Pensa se fosse stato spagnolo, gli toccavano quattro nomi, Lebotivit Castillo Urjunzan Versantes.

Allora ho scoperto tramite, mmm lui, che la Perugina manda messaggi subliminali. Lo fa tramite i bigliettini che ti lascia dentro il cioccolatino. Piu’ li leggi e piu’ ti viene voglia di scartarne altri e mangiare piu’ cioccolata. Io non la sapevo questa. Trentatré anni a mangiare cioccolatini del male. Sono messaggi all’apparenza innocui, ma in realtà sono al servizio dell’industria dello zucchero e delle case farmaceutiche che sono pappa e ciccia con Bill Gates.

Sfortunatamente, c’ è sempre qualcuno che tenta di far passare queste scoperte come delle stupidaggini. C’è persino qualcuno che preferisce darsi dell’ingordo ciccione pur di insabbiare queste verità. Pensateci, non è un caso se la metà degli americani sia obeso e che i bigliettini della Perugina non siano biodegradabili. Mi direte “E se evitassimo di leggere i bigliettini e mangiassimo solo il cioccolatino?”.

Dobbiamo svegliarci. Loro sanno come giocare sulla nostra psicologia inversa! Tu lo vedi il bigliettino, ma decidi di non leggerlo perché vuoi essere trasgressivo. Pensateci bene, quello che vi porta realmente ad aprire il cioccolatino non è la voglia di mangiare il cioccolatino, no! È il desiderio di trasgressione, tu lo sai che quel biglietto è lì, è lì per quello, ma decidi di non leggerlo! Questo le case farmaceutiche e la CIA lo hanno capito subito.

(Rivolgendosi al pubblico) Voi sinceramente un po’ meno. (Rivolgendosi a una persona tra il pubblico) Ma tu ce l’hai Suzum? Ecco appunto.

Per chi non avesse mai sentito questa teoria, benvenuti nel mondo di Lebotivit Urjunzan. Il mondo del complotto, una realtà rassicurante dove non c’ è spazio per le proprie responsabilità. Esse sono attribuite a qualcun altro, ai cosiddetti “poteri forti” che tramano a nostra insaputa. L’unica cosa che dobbiamo fare è SVEGLIARCI! Lo dicono sempre “Dobbiamo svegliarci! State dormendo! Ma non vedete quello che sta realmente succedendo, aprite gli occhi!”. Chiaramente non hanno capito che dormendo si riesce a fare qualcosa di incredibile: non complottare. I complottisti non dormono mai. Hanno un’insonnia ancestrale cronica perché appena chiudono gli occhi le loro pecore sono già tutte in fila, già tutte contate e in perfetto ordine secondo i precetti dell’Ordine Nuovo. I complottisti adorano la sveglia e il suo suono instancabile e costante. La adorano perché è un aggeggio celebrato da un terrapiattista, da colui che individuò la vera causa del sorgere del sole: i canti dei galli all’alba.

È incredibile come i complottisti abbiano sempre una spiegazione per qualsiasi cosa. Nei loro discorsi c’è sempre un NOI, pochi eletti, che abbiamo scoperto ciò che è stato insabbiato, la cosiddetta verità con V maiuscola e il LORO, i poteri forti, i potenti che stanno nella “stanza dei bottoni” e che hanno in mano le redini del destino del mondo dormiente. Ma chi ha inventato questo termine “La stanza dei bottoni” scusate? Non ditemi Pietro Nenni, il politico italiano. No, no, questo è quello che loro vogliono farvi credere. Chi ha inventato questo modo di dire della “stanza dei bottoni”?

Le sarte! Le sarte che ti fanno il ricamo per il tanga, loro a suo tempo avevano avuto l’intuito che il mondo sta collassando tra le scie chimiche e i pali del 5G, probabilmente alimentati dall’olio di palma, che è poi quello che veniva dato ai pipistrelli nei mercati in Cina per infettare il mondo. Inaccettabile! Queste cose dovrebbero insegnate a scuola, a tutti, prima che vengano oscurate come sempre!

Se i complottisti dovessero insegnarci l’inglese alla lesson number one non ci direbbero “The cat is on the table” ma “quello che vedi è un felino degli Illuminati messo a posta sopra il tuo tavolo, che è linea con l’asse delle torri gemelle prima che venissero distrutte, per distrarti dalla vera verità: tu non lo imparerai mai questo inglese, perché l’inglese è la lingua degli ufo.”

Il complottista è un combattente ansioso che avanza con logiche e dialettica incessanti. Dopo averti insinuato il dubbio, e poi gradualmente scetticismo, incertezze, diffidenza ecco che ti disorienta con la lancia del delirio d’ansia. E quando credete di essere stati illuminati dal precetto Socratico “io so di non sapere”, in realtà siete solo in preda a un attacco di panico. Se non riuscite a difendervi, richiamando il buonsenso e razionalità, vi ritrovate storditi in questo vortice d’ansia: “E se il coronavirus non esistesse davvero? E se il vaccino per combatterlo fosse solo un’invenzione? Ho chiuso il frigo ieri sera? E anche se fosse?! Forse lo psicologo può aiutarmi! Ma lui crederà al coronavirus e al vaccino? Avrà un frigo?”.

Nel corso della storia abbiamo cambiato i nostri riti e abitudini. Per gestire le nostre paure e per alleviarci dalle angosce di tutti i giorni siamo passati dall’ offrire sacrifici umani agli Dei, allo scaricarci app di meditazione contro l’ansia e lo stress. Siamo passati dall’uccisione fisica di animali e uomini allo stare sdraiati su un tappetino della Decatlon. Direi che ci siamo un po’ calmati! Ora, non voglio suggerire ai complottisti di sacrificare un capretto sul balcone di casa per invocare il Dio delle difese immunitarie, però se lo facessero, ecco capirei. Può aiutare per allentare i loro timori e le incertezze del tutto comprensibili in questa emergenza sanitaria e sociale. Li capisco: da ansiosa non complottista farei di tutto per avere una spiegazione superiore, ancor meglio malvagia, proporzionata alle incertezze del momento che stiamo passando. Mi aiuterebbe di sicuro ad anticipare gli eventi e a crearne regolarità in questo caos quotidiano.

Ma i complotti non possono essere dimostrati. Ci si può credere o meno, sono una sorta di narrazioni religiose. Ci sono persone che credono in Dio. Ci sono persone che credono che il virus sia stato inventato in laboratorio dai cinesi per dominare il mondo. E ci sono persone come me, che credono che il laboratorio sia stato creato dal virus per inventare i cinesi. Ognuno può scegliere la narrazione che preferisce pur coscienti di non poterlo dimostrare e imporre agli altri.

I complotti si intrecciano l’un l’altro e come l’edera prendono pian piano tutto lo spazio che c’è. Uno spazio fatto di paure, di relazioni causa-effetto e di coincidenze. Facilmente si supportano a vicenda perché riconoscono in un’altra teoria complottista le stesse scorciatoie di pensiero e lo stesso modo di spiegare la complessità della realtà. E così si rafforzano, un po’ come fanno gli innesti sugli alberi di ciliegie. E le assurdità diventano esponenziali, e si vedono penzolare banane dalle piante di basilico.

Ma non tutti i complottismi sono sullo stesso livello.C’ è chi non crede all’esistenza dei dinosauri. C’è chi crede che l’olocausto non sia mai esistito, e poi c’è chi non crede al lattosio. Non sono tutti sullo stesso piano e hanno un impatto nella realtà molto differente, che non può essere sottovalutato. Ricordiamocelo quando vedremo gente manifestare contro il lattosio, mangiandosi lo yogurt in piazza. Per lo piu’ armati di cucchiaino.

Non so se i complottisti amino definirsi tali. È forse per loro un insulto sentirsi etichettare così, proprio quando quello che stanno cercando di fare è di attingere alla verità e comunicarlo agli altri. Vorrei saperne di piu’ a riguardo. Se credi che gli Americani non siano mai stati sulla Luna e che le immagini pubblicate siano state create al computer negli studi cinematografici, come vorresti chiamarti? Antiamericano? Informatico riluttante? Filosofo della luna? Non lo so. Forse DoubleX345 per la CIA, Giorgio per gli amici e Giorgio DoubleX per gli amici della CIA. Ma Lebotivit Urjunzan ancora non si spiega…

What to want

I should start by splitting the female world in two separated earth’s crusts, as an earthquake can cause not only big geological changes, but also thicker dictionaries. Women and girls are two different words that both exist to be something different from one and the other. There is a slightly difference between a woman and a girl.  A woman knows what she wants, while a girl knows what a man wants. As I know what I want I should be called a woman. However, to be called a woman one needs to know first what I want and this implies that we are already complicating things, which is the first thing a woman wants.

But let me started with A. S., which is a man or a boy. There is no difference between a boy and a man, in fact, they both know what they want. But if one really needs to create more confusion let the boy knows what he wants, when nobody wants to know what he wants. In the case of A.S. I wish I could have known what he wanted because this was something I wanted.I know what I wanted from A.S. because I gave him my number in a piece of paper. I could have given to him a smile or a breath of springtime, but poetry needs good readers while a phone number a pocket and two eyes. As I didn’t know his education and personal curiosities I decided to go for the piece of paper. If at this stage I have already disappointed some women who clearly wanted me to go for the breath of springtime, all I can say is that a muse might spark more interest than a writer but now it is too late to make history.

I know what I wanted because I invited A. S. out five times in five weeks in a row. He never did it once. I guess because I asked him first or because his favorite number was six. As I have already mentioned before I did not know what he wanted, let alone his favorite number.As I am a comedian one of my invitations led us to a comedy night where friends of mine performed.  I should have been in the bill with other comedians, but what I wanted was to spend some time with him. I am a comedian who doesn’t perform, but who knows what she wants, which was no comedy for a month. Nothing seemed to impress E.S. even after my little gift to him: a cream for his face as he seems into those things. One thing led to other things, like anxiety and no self-esteem. He didn’t want exclusivity and I wanted something called exclusivity.  I met him for the last time and told him what I wanted, something clearly he didn’t want. I left as a woman who knew what I wanted and only girls know what he wanted.

 

The case for Comedy by James Thurber

[… ]humour is a sickness, a sign of inferiority complex, a shield and not a weapon.

To Modern morbid playwright seem to have fallen for the fake argument that only tragedy is serious and has importance, whereas the truth is that comedy is just as important, and often more serious in its approach to truth, and, what few writers seem to realize or to admit, usually more difficult to write. It is not curious but a natural thing that arrogant intellectual critics condemn humour and comedy, for while they can write about Greek Old Comedy, Middle Comedy, and New Comedy with all the flourishes of pretension, they avoid a simple truth, succinctly expressed by the Oxford Classical Dictionary in its discussion of Middle Comedy. “Before long the realistic depiction of daily life became the chief aim in Comedy. Ordinary, commonplace life is no easy subject to treat interestingly on the stage; and Antiphanes constrasts the comic poet’s more difficult lot with the tragedians’, whose plot is already familiar, and the deux ex machina at hand- the comic writer has no such resources.

[…]

It isnhugh time that we came of age and realized that, like Emily Dickinsons’ hope, humour is a feathered thing that perches in the soul.

Huddersfield

Sono arrivata a d Huddersfield una settimana fa. Sette giorni fa ero a Cross Green a Leeds a pulire la mia stanza, il bagno e la cucina in comune con gli altri due coinquilini. Pensavo che pulendo tutto con attenzione avrei ricevuto indietro i miei 200 pound di deposito. Alle 13: 00 ho chiuso quella porta di casa senza un soldo in mano e poco di buono tra i ricordi del mio ultimo anno. Ora sono coperta da una soffice coperta blue in una delle camere della casa di Adham. Credo fosse la stanza del piccolo.  E’ un po’ freddina, ma ho fatto del mio meglio per arredarla con le mie vecchie cose e dice qualcosa di me. La borsa del mio corso femminista a Fiesole mi e’ appesa davanti imbottita del basco russo che avevo comprato con il mio arrivo a Leeds. Tutti i miei libri ci stanno tranquillamente sulla mensola  e i fili dell’ elettricita’ coprono il resto della finestra.  E’ un giorno pieno di pioggia che a stento arrivera’ ma che ti trasmette quel senso di attesa e di pessimismo nel respiro che segue. E’ brutto fuori, fa freddo e Adham gioca a golf. Non sto passando un gran momento. La mia faccia lascia scoppiare i miei brufoli mestruali rossi, i miei capelli si sono inscuriti o la mia pelli e’ impallidita e sbiancata notevolmente. Il naso tappato e poco incanto tra le gambe mi sento depressa e senza volonta’. Forse dovrei solo lasciarmi andare e rilassare la mente. Forse dovrei solo prendere in pugno le mie energie e spargerle di oro nei miei giorni pieni di vuoto. Forse dovrei arrendermi alla routine delle donne casalinghe, o a quelle imborghesite dai pranzi e dai conti pagati da qualcun altro. Forse dovrei smetterla di piagnucolare, forse dovrei scrivere, forse no o o forse  non dovrei dire forse. Forse non conto nulla e forse la mia stanza non mi e’ poi cosi tanto amica. Ho perso le mie redini e il mio sogno galoppa trascinando il carro come un velo copre un corpo di un delitto. Il mio sogno si allontana e la mia bocca smonta non ha espressione migliore dell agio e del dolce dormire. La mia faccia non ha piu faccia se non per i miei tappeti sotto i piedi e qualche armadietto bianco per questa casa cosi lucida e piena di morbidi agi.

Conto le mie pecore all uscio del gregge: mi guardano e so che si contano da sole.

How to tell a stuffed leaf insect from a leaf insect

 

My nerdy brother started a conversation about how to distinguish a stuffed leaf insect from a normal one.

“You have to check their eyes” he was saying . “The stuffed insect will have them always open, while a normal leaf insect could have them close or open”.

But I interrupted him “Come on Matteo, this is a very ridiculous conversation. Nowadays, how do you get to see a stuffed leaf insect?”.  He continued “Well,  first of all, your eyes have to be open!”.

 

 

S. M.

I tuoi occhiali sono uno scudo o uno specchio di un mondo diverso.

Il tuo sorriso è di una dolcezza tenera e immensa come le braccia aperte di un bambino

un talento unico,

comicità acuta come quegli occhi che non ho mai incontrato in nessun luogo,

mare, spiaggie e castelli in aria, come la nostra storia che non è mai partita

per nessun luogo e nessuna risata.

un incontro che doveva essere il primo,

quell’incontro che doveva  essere il primo

non è stato altro che un incontro che doveva essere il primo.

 

Il contadino sfortunato

Nella campagna al Nord delle montagne bianche viveva un vecchio contadino assieme alla sua famiglia. Le sue giornate brulicavano di piccoli lavoretti nei campi di sua proprietà. Con il periodo primaverile alle porte Pino cercava invano da giorni di seminare un po’ di pomodori. La cosa non sembrava avere un buon seguito. Lo spaventapasseri forse non era abbastanza alto, o le cornacchie si stavano facendo troppoo intelligenti e gli mangiavano i semi appena si rincasava. Qualcosa sembrava andare storto perchè nessuna piantina era ancora spuntata dopo giorni di semina. Pino continuò ad abbeverare il terreno fino a quando decise sul da farsi “Devo comprare altri semi e riprovare di nuovo!”. E così fece. Compro’ altri semi nello stesso negozio di sempre e si mise all’attenti con le cornacchie. Erano le sei di pomeriggio. Semi in mano e temperatura ottima, Pino cominciò la semina. Dopo qualche  passo fece attenzione ai semi: non cadevano a terra. I semi prendevano il volo. Pino rimase esterrefatto. Semi in volo, cosa stava succedendo. Si stropicciò gli occhi più volte per vedere meglio. Prese in mano un altro pugno di semi e tutto venne confermato. Nessuna brezza, nessun venticello poteva spingere i semi così  lontano.  Pino appoggiò il sacco di semi a terra e infilò la testa dentro per esaminarlo meglio. Non vide nulla se non semi di pomodoro. Tornò di corsa a casa dalla moglie che  lo stava aspettando per la cena e le raccontò dell’accaduto. La moglie divertita gli disse “Incredibile! Sono le sette in punto.Sei tornato giusto in tempo per la cena, sono sorpresa quanto te con i tuoi semi volanti. Ora mangiamo.”

The Nature department

In another. life I will be a counselor for everyone who needs help. Anyone in nature, but humans. Here some of my precious advice and my first clients.

Dear Carla. I am the sunshine. This is the first time I ask for help down to Earth. I have noticed that during spring and summer time, there is something down there that keeps staring at me. What is it? Usually humans can only look at me properly with sunglasses. I am sure that thing does not have sunglasses.  His or her obsession with me starts freaking me out. Please help.

Dear sunshine. It’s the sunflower. This kind of flowers will follow you across the sky. I want also reassure  you that sunflowers don’t wear sunglasses. Keep shining.

Dear Carla, I am the rose. I am 5 years old, delicate scent with slim white petals. For unknown reasons I don’t have any thorns yet. This is really embarrassing me. I also think this is the reason why people  enjoy plucking my petals. They all seem to repeat the same weird words to me, while they do it. Why do you think they do this to me?

We might need to arrange a visit in person as I suspect you are a daisy. Roses are usually red. If what you hear is “she loves me, she loves me not” you are definitely a daisy.

Dear Carla, I am a lucky ant that lives in the biggest ant community under the big oak in Cambridge. In this period I feel a bit down because it seems that no one cares about my new ideas. Last week I proposed to collect all the leaves in a different way. Instead of just pilling them up in the store room, I proposed we should manage to recreate a tree with all the leaves we find outside. I proposed a big palm but I don’t think they will start doing it.

Dear  lucky ant. Unfortunately  I haven’t see your community as I live in Leeds. Your idea seems to me very original and it deserves recognition. A palm might occupy more space than just pilling leaves up. Your friends might agree with you with the time. Try to propose something smaller. Like a four leaf clover. Good luck with that.

THE NIGHT I CAME HOME FROM MY HOLIDAYS:

 

My return at home after my holidays has not been as I expected or planned. Unexpected things only happen when they are not considered and in this respect they were planned to be unexpected.

On my way home I was thinking to empty my luggage in the kitchen, where my washing machine is located. I wanted to clean all the clothes I had in it and then reach my single room at the fourth floor. When I opened the main door no one was at home, as I knew my only housemate was working  that night. It took me less than few minutes before I transferred with a big hug all my clothes from the luggage to the washing machine. It was when I added the washing powder that I thought that cleaning also the clothes I was wearing in that  moment would have been something useful to do. So I managed to do it without a second thought. I was naked when I turned on the machine that started its own noise. Happy with my first thing all done I was approaching the stairs when just in front of me a man appeared  from the basement. I did not expect anyone from any place to materialize in that specific moment in front of me if that was not clear to the reader. He was my new housemate who just thought that somebody might have been in the kitchen. Unfortunately it happened to be me to confirm his assumption in a way that both of us did not expected. I was naked in front of a man who happened to be in the kitchen because of a noise.  We could not hold our mutual embarrassment. He didn’t know where to watch, even if thinking retrospectively, he could have at least pretend to look at the washing machine which was big enough to distract from my presence. I personally knew where to watch as I looked at myself and covered like a graph parenthesis my genitals with my arm. I don’t think that was very effective to the real cause, but at least I did not have an apple to induce him to the sin. I don’t think he was thinking about paradise or apples or something celestial. He was red as an apple and maybe this is why I am mentioning apples. It was for sure the most an embarrassing unpredictable noise that he could expect. As for me, I have got a new housemate.

Dawn Powell (1896-1965)

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                                                   Satire is people as they are;

                                          romanticism, people as they would like to be;

                                   realism, people as they seem with their insides left out.

                                                              In Turn, Magic Wheel

The modest modesty

 

When a man tells you you are modest don’t take it as a compliment. You are more likely to be a weak woman. When you are modest they will call you negative or depressed.

Traveling lovers

 

Traveling lovers. I hate traveling lovers and the words travel and lovers. It is a difficult feeling to handle as their “nature” brings them all around the world, hence you will easily find and meet them everywhere.  You might be in front of a traveling lover without knowledging it, or you might be happily involved in one of their conversations, all you need to know is that traveling lovers will never compromise when it comes to their beliefs. Traveling lovers believe that their trips around the planet are made possible because they prioritize their lives and needs in a way that their love and curiosity for different cultures and new cities will never suffer any limitation upon other silly daily life necessities. Traveling lovers will always deny that they have “just money”.Traveler lovers will tell you that they prefer spending 200 pounds for a weekend in Praga than for a tattoo. This is what they might stress to you and you must not give to them any credit or trust. Their concept of priorities is not based on values, but on cause and consequences: they will go on holiday to Praga while you don’t. Once there, luck will be on their side as they find a quirky shop for a cheap vintage tattoo. They will go on holiday and they will also have a tattoo, while you don’t.

Traveling lovers have money to spend, but unfortunately, they will never use it to treat their identity issues, because according to their beliefs, visiting Barcellona is one of their priority. And this is why you will spot them on vacation as tourists, while they don’t like to be recognized or identify as such. They will pretend to take pictures in front of the most famous building in the city with no enthusiasm or in a sneaky way, as their desire is to ape the locals. They are not tourists, they are traveling lovers. You can see them hiding their maps and cameras under their shirts and rucksacks, hoping that someone will finally understand who they really are.

There is only one kind of travelers I love: immigrants. In this worldwide connected planet where if you pluck a flower, the stars will know, why not decide to become an immigrant? Why look for a pineapple, if you can be the pineapple? Move your ass outside your country and get a tattoo.

 

 

 

 

A cactus, a sunflower and a plant of peas

On a shelf in an apartment: a cactus, a sunflower and a pea plant. A woman pours some water on the cactus and leaves the house.

 

A cactus: I really don’t know what’s wrong with people. I really don’t get it.

A sunflower: What’s going on now again.

A cactus:  She gave me water again. Again! Why does she do this?!

A sunflower: When? I didn’t even see her coming!

A cactus: Of course, you don’t! Every time there is that burning sunshine outside the window you are all into it. You weirdo! No surprise that you haven’t seen her.

A sunflower: Oh, please stop whining. And be grateful that someone is taking care of you. No offense, but you are not the most attractive plant in the planet with those thorns.

A cactus: Oh, now I am curious to know what you would have said to me without that “No offense”. Sorry to disappoint you, but there is no plant more desired by human beings than us, Cactaceae. Every apartment with a decent standard has a cactus plant on a shelf!

 A sunflower (resting on a warm window): Oh, is that true?

A cactus: Well, yes! You sunflowers, you are seeds for porridge my darling. Nobody really cares about you, moving around the sunshine, like psychos. If they really wanted something that could move, they would have had a dog or a cat.  You should stop even making an effort about it! No one cares!

A sunflower: I kind of sense a sort of envy here. You cannot move and considering your shape I am not even sure it will be a pleasant thing to see. And nobody will even come next to you to smell your sent!

A cactus (interrupting): You really like to deny the evidence, don’t you? She comes everyday giving me water so, you are wrong! I would like to just be on my own, but they always come and bother me. Do you get it? “Thorns” hashtag “stay away from me”? I don’t want to look nice and beautiful for them. I just want to get fat and fat and get more thorns!

A pea plant: Shhhh!!!Stop shouting please. My beans are trying to sleep here. And if you could control your swearing it would be more than appreciated.

A cactus: Oh, there we go, here she is. Sorry, but this is a public space. I get water in the face when I don’t want it, he can swear and act like a weirdo and you unfortunately have to take it.

A pea plant: I am not going to accept that. These beans will be lunch very soon for our owner. They need a good sleep. I want them to be juicy and tasty. You keep your mouth shut, please.

A sunflower: Well, I don’t! So I don’t see why this should make a difference. I am not going to stay in silence when someone is offending the flowers of sunshine! Boring…

 A pea plant: Sure! Talking is all you can do,  lazy roots! Just doing nothing but photosynthesis, while I am food for them and this is a full time job.

A sunflower: Excuse me: I am in the most delicious porridge in every bar and Cafeteria, all over the world, and in the best oil in Aldi and Morrison and Asda. And if sometimes I enjoy some photosynthesis is not your business at all!

A cactus: Well, there is no plant more desired by human beings than us, Cactaceae. Every apartment…

 A sunflower interrupting: Oh, again with this boring chant.

A pea plant: I always thought that only moss could be the most boring plant ever, always showing off about directions, the North and the South, and the North and the South, before I had to listen to this green hedgehog!

A sunflower: Ah! Nice one!

A pea plant (staring at the sunflower): I thought I was the boring one. Apparently now it’s your turn

The plant of peas suddenly shakes. Little peas wake up and start crying.

 A little pea referring to the cactus: Mum, am I going to get bigger like him when I get older? I want to get bigger like him!

Another little pea: I want those thorns, I want those thorns mum!

Another little pea: Mum, when do I get green like him, mum? Soon?

The cactus (getting bigger and emotionally satisfied): See? All they can notice is me! Your little peas are very smart. I never thought peas had a brain actually.

A woman enters in the room, plucks all the peas and put them in a dish and start cooking. Than she grabs the sunflower and put them in a vase on the table. She pours some water on the cactus. 

 The cactus (exhausted): Why?

Moral: Once you have proved that you are right and everybody should finally agree, it is time for lunch.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Comedy and seeds

 

Comedy means to make it easy something very complicated. It means to keep your pain for yourself and give to the audience only sad eyebrows. You have to give the juice to people, while you keep the seeds for yourself.  Spit or eat them it doesn’t matter, but you don’t share this moment with the audience. Give to the audience the best moment of yourself, while you are drinking that orange juice. Possibly use a straw. A beautiful one. Taste and style are essential in comedy. This is what comedy is and what distinguish us from drunk people, babies and vegans.