Umberto Eco
Il comico e la regola (1981)
Le molte specie del comico e dell’umorismo
“Le opere comiche danno la regola per scontata, e non si preoccupano di ribadirla”
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“Che il tacere la normalità violata sia tipico delle figure di pensiero, appare evidente nell’ironia. La quale, consistendo nell’asserire il contrario (di cosa? Di ciò che è o di ciò che socialmente si crede), muore quando il contrario del contrario venga reso esplicito”
(vedi video)
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“Quali sono le sceneggiature che il comico viola senza doverle ribadire? Anzitutto le sceneggiature comuni, ovvero le regole pragmatiche di interazione simbolica, che il corpo sociale deve assumere come date”
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“Il comico pare popolare, liberatorio, eversivo perché dà licenza di violare la regola. Ma la dà proprio a chi questa regola ha talmente introiettato da presumerla come inviolabile. La regola violata dal comico è talmente riconosciuta che non c’è bisogno di ribadirla. Per questo il carnevale può avvenire solo una volta all’anno. Occorre un anno di osservanza rituale perché la violazione dei precetti rituali sia goduta”
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“Il comico carnevalesco, il momento della trasgressione, può darsi solo se esiste un fondo di osservanza indiscutibile. In questo senso il comico non sarebbe affatto liberatorio. Perché, per potersi manifestare come liberazione, richiederebbe (prima e dopo la propria apparizione) il trionfo dell’osservanza. E questo spiegherebbe come mai proprio l’universo dei mass-media sia al tempo stesso un universo di controllo e regolazione del consenso e un universo fondato sul commercio e sul consumo di schemi comici. Si permette di ridere proprio perché si è sicuri che prima e dopo la risata si è sicuri che si piangerà. Il comico non ha bisogno di reiterare la regola perché è sicuro è nota, accettata e indiscussa, e ancor più lo rimarrà dopo che la licenza comica ha permesso – entro uno spazio dato e per maschera interposta – di giocare a violarla”